MIMESIS
[Traduzione dall'inglese]
Chantal Mouffe insegna Teoria politica all’Università di Westminster, Londra. Ha introdotto, con Ernesto Laclau, un nuovo approccio alla teoria politica basato sull’analisi del discorso politico. Tra i suoi libri tradotti in italiano: Sul politico. Democrazia e rappresentazione dei conflitti (Bruno Mondadori 2007), Egemonia e strategia socialista. Verso una politica democratica radicale (con E. Laclau, Il Nuovo Melangolo 2011) e Il conflitto democratico (Mimesis 2015).
I saggi raccolti in questo volume esaminano il significato e la portata della concezione agonistica della politica, elabora- ta nei miei lavori precedenti, e si soffermano su una serie di questioni che ritengo importanti per il progetto della sinistra. Ogni capitolo affronta una problematica differente ma il mio obiettivo, in tutti i capitoli, è di affrontare tutte le questioni in modo politico. Come Ernesto Laclau e io abbiamo sostenuto in Egemonia e strategia socialista, per pensare in maniera politica occorre riconoscere la dimensione ontologica della negatività radicale. Si tratta di una forma di negatività che non può essere superata dialetticamente e impedisce il raggiungimento della piena oggettività, rendendo l’antagonismo una possibilità sempre latente. La società è permeata dalla contingenza, e ogni ordine politico è di carattere egemonico, ossia è sempre l’espressione di relazioni di potere. Ciò significa che la ricerca di un consenso senza esclusioni e l’idea di una società perfettamente riconciliata e armonizzata debbono essere abbandonati. In altri termini, l’ideale emancipatorio non può essere più concepito come la realizzazione di una qualche forma di “comunismo”.
Le riflessioni qui proposte prendono le mosse dalla critica al razionalismo e all’universalismo che ho sviluppato sin da The Return of the Political, dove cominciai a elaborare un modello di democrazia da me definito “pluralismo agonistico”. Nell’inscrivere la dimensione della negatività radicale nel campo del politico, proponevo lì di distinguere tra “la politi- ca” e “il politico”. Il politico indica la dimensione ontologica dell’antagonismo, mentre per “politica” intendo l’insieme di pratiche e istituzioni che mirano a organizzare la coesistenza umana. Tali pratiche, per inciso, operano sempre su un terreno di conflittualità già determinato dal politico.
L’impianto generale del “pluralismo agonistico” è stato poi sviluppato ulteriormente in The Democratic Paradox, dove sostenevo che un compito cruciale della politica democratica è quello di creare istituzioni che permettano al conflitto di assumere una forma “agonistica”, in cui gli oppositori non guardano gli altri come dei nemici ma come degli avversari, con i quali si condivide un consenso conflittuale. Ciò che desideravo mostrare era che un ordine democratico è possibile anche in presenza di un antagonismo inestirpabile.
Va subito detto che le teorie politiche che sostengono questa tesi finiscono di solito per argomentare a favore di un ordine autoritario, che sarebbe l’unico capace di tenere a debita di- stanza il rischio della guerra civile. Per tale motivo, gran parte dei teorici politici che lottano per la democrazia insiste su una soluzione puramente razionale dei conflitti politici. Al contra- rio, io ritengo che distinguendo “antagonismo” e “agonismo” sia possibile immaginare una forma di democrazia che non neghi la negatività radicale. In tal senso, la soluzione autoritaria non rappresenterebbe, dunque, una conseguenza logica del postulato ontologico della negatività radicale.
Negli ultimi anni, riflettendo sugli sviluppi politici a livello globale, sono stata portata a indagare le possibili implicazioni della mia concezione per quanto attiene alle relazioni internazionali. Quali sono le conseguenze sull’arena politica internazionale della tesi in base alla quale ogni ordine è un ordine egemonico? Significa che non esiste alternativa all’attuale mondo unipolare, con tutte le conseguenze negative che ciò comporta? Senza dubbio va abbandonata l’illusione di un mondo cosmopolita che oltrepassi l’egemonia, che superi ogni sovranità. Ma ciò non significa che non sia possibile immaginare anche una pluralizzazione delle egemonie. Dal mio punto di vista, un approccio multipolare alla politica internazionale, con rapporti più equi tra i diversi poli regionali, potrebbe rappresentare un passo verso un ordine agonistico in cui i conflitti, pur non scomparendo del tutto, assumerebbero più di rado una forma schiettamente antagonistica.
Altro problema è quello che riguarda gli effetti di una prospettiva egemonica su quei progetti radicali il cui obiettivo è stabilire un ordine sociale e politico alternativo a quello esistente. Come raggiungere questo nuovo ordine? Quale strategia seguire?
Il tradizionale approccio rivoluzionario è stato per lo più messo da parte, ma è oggi sostituito di frequente da un altro che, sotto il nome di “esodo”, riproduce, seppure in maniera differente, molti dei suoi limiti. In questo testo io mi schiero contro il rifiuto totale della democrazia rappresentativa da parte di chi, anziché mirare alla trasformazione dello Stato attraverso una lotta egemonica agonistica, esorta a disertare le istituzioni politiche. La fiducia in una “democrazia assoluta”, in cui la moltitudine sarebbe in grado di auto-organizzarsi senza la necessità dello Stato o di istituzioni politiche, è segnale di una insufficiente comprensione di ciò che chiamo “il politico”.