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Colin Crouch, "Identità perdute"

EDITORI LATERZA 

[Traduzione dall'inglese]



Colin Crouch è professore emerito presso l’Università di Warwick, dove ha insegnato Governance e Management pubblico presso la Business School, e membro scientifico esterno del Max Planck Institute for the Study of Societies di Colonia. Dal 1995 al 2004 è stato professore di Sociologia presso l’Istituto Universitario Europeo a Firenze. Ha pubblicato libri e articoli di sociologia economica, sociologia europea comparata, relazioni industriali, politica contemporanea britannica ed europea.

Uno scontro epico tra globalizzazione e un risuscitato nazionalismo sta trasformando le identità e i conflitti politici in tutto il mondo. Il termine globalizzazione si riferisce in primo luogo allo sviluppo in buona parte del pianeta di relazioni economiche relativamente senza restrizioni, ma questo processo comporta implicazioni sociali e politiche più ampie. Persone di diversa cultura vengono a trovarsi l'una accanto all'altra e i sistemi nazionali di governo dell'economia sono messi a dura prova. Sconvolgimenti di varia natura - economici, culturali e politici - accompagnano la globalizzazione, producendo un violento contraccolpo per coloro che si sentono penalizzati dal processo, non tanto sul piano economico quanto perché esso rappresenta una minaccia per le fonti tradizionali della loro identità culturale e sociale. Mentre in un primo momento la globalizzazione sembrava destinata semplicemente a offrire più a buon mercato prodotti dall'estero e nuove opportunità per le esportazioni, la globalizzazione ha significato per molti la perdita non solo del proprio lavoro individuale ma di intere fabbriche di lunga tradizione e delle comunità e degli stili di vita a esse associati, con un'ulteriore spirale di disorientamento dovuta alle tradizioni straniere e al gran numero di persone provenienti da altre culture, che hanno invaso e oscurato gli abituali punti di riferimento. L'inquietudine e la preoccupazione che ne conseguono sono avvertite parimenti


  • dagli italiani, arrabbiati con l'Unione Europea (UE) che non fa abbastanza per convincere gli Stati dell'Europa centrale ad accogliere una parte dei rifugiati arrivati sulle coste del paese, e allo stesso tempo dai cittadini dell'Europa centrale, furiosi con l'UE perché chiede loro di farlo;

  • dagli ex operai dell'industria siderurgica americana e francese, che hanno visto dissolvere le loro fabbriche e le comunità locali:

  • dai tedeschi, che parlano della loro Heimat e hanno la sensazione che sia qualcosa che ormai hanno perduto;

  • da russi, britannici e austriaci, presi dalla nostalgia per i loro imperi del passato e infastiditi dal fatto che in un mondo globalizzato la «sovranità» debba essere condivisa;

  • da appartenenti alle società islamiche, che si sentono invasi tanto dagli aerei militari americani e britannici quanto dalla cultura e dai costumi sessuali occidentali;

  • e da persone di tutta Europa e Nord America, sconvolte e inorridite dal terrorismo islamico e che non gradiscono la presenza tra le loro strade di donne che in indossano lo hijab


La globalizzazione è, per molti, un attentato alla loro voglia di sentirsi orgogliosi nei vari ambiti di vita: nel loro lavoro, nella loro identità culturale, nelle loro comunità, nelle città e paesi in cui vivono, quell'ampio fascio di idee che costituiscono la nozione tedesca di Heimat. Molte persone sono ancora capaci di provare questo sentimento d'orgoglio, in quanto le aree in cui vivono e i settori in cui lavorano sono stati favoriti dalla globalizzazione. Hanno quindi un approccio disteso, ottimistico e persino entusiasta per le opportunità offerte dal caleidoscopio di un universo culturale sempre più vario. Ma altri si trovano ad affrontare un'esperienza differente. Anche se vivono una vita agiata, vedono nel resto del mondo una serie di cambiamenti sconcertanti e desiderano quelle certezze che, forse erroneamente, credono caratterizzassero il mondo nel passato.

Durante il lungo dibattito che è divampato nel Regno Unito dopo il referendum del 2016 sull'uscita dall'Unione Europea (la cosiddetta «Brexit»), la British Broadcasting Corporation (BBC) ha intervistato alcuni abitanti di Middlesbrough, una città un tempo industriale, fortemente depressa, nel Nord-Est dell'Inghilterra, che ha votato in modo massiccio per l'uscita dall'UE. Un tema ricorrente delle interviste era: abbiamo perso tutto, i giovani partono per trasferirsi altrove, non vediamo prospettive nel nostro futuro, ma almeno sappiamo di essere inglesi e ne siamo orgogliosi. Pertanto hanno votato per uscire dall'Unione europea. La catena della loro argomentazione è priva di logica in senso stretto, ma possiede una potente logica emotiva. Ciò aiuta a spiegare perché in questi primi anni del ventunesimo secolo un nazionalismo redivivo stia diventando una forza popolare dominante.

Ma non è del tutto vero che non ci sia una logica stringente. Noi possiamo ottenere un qualche controllo su un mondo caratterizzato da un'interdipendenza sempre maggiore solo attraverso lo sviluppo di identità e istituzioni democratiche e di governo in grado di spingersi oltre la dimensione dello Stato-nazione. Questo compito è già difficile di per sé, ma diventa virtualmente impossibile quando un gran numero di politici, giornali e intellettuali incitano le persone a fare esattamente l'opposto e a trincerarsi dietro le barriere nazionali, trattando gli immigrati come un morbo che contamina la loro cultura e rapportandosi al resto del mondo solo sulla base di relazioni di mercato aperte alla libera concorrenza - e quindi lasciando le imprese multinazionali e i mercati finanziari deregolamentati fuori da ogni controllo.

Sebbene l'opposizione alla globalizzazione provenga da ogni angolo dello spettro politico, la sua leadership è fermamente nelle mani della destra tradizionalista e nazionalista. Questo è interessante. La globalizzazione economica è principalmente un progetto del neoliberismo, che per diversi decenni è stata l'ideologia dominante della destra moderna. Significa questo che la politica è diventata uno scontro tra fazioni interne alla destra e che la sinistra non ha più nulla da dire? O che le differenze tra sinistra e destra perdono di valore nella lotta sulla globalizzazione? lo qui sostengo invece che sinistra e destra conservano senza dubbio il loro significato; che la sinistra socialdemocratica può offrire un suo contributo distintivo a questo conflitto; che è necessario porsi dalla parte della globalizzazione contro i nuovi nazionalismi, ma anche che bisogna insistere per riformare le sembianze che questo processo ha assunto. Ciò non implica affatto - e non deve implicare - l'abbandono delle identità nazionali o locali. Piuttosto, le identità multiple che sono oggi a nostra disposizione dovrebbero diventare una serie di cerchi concentrici che si arricchiscono l'un l'altro con radici ferme in una sussidiarietà cooperativa, o una specie di matrioska russa con una successione di bambole di dimensioni differenti contenute in modo confortevole l'una dentro l'altra. Dobbiamo essere orgogliosi della nostra città più o meno grande, della regione in cui è situata, della nazione al cui interno è contenuta, delle istituzioni europee (per chi è abbastanza fortunato da vivere in uno Stato membro dell'UE), e delle più ampie istituzioni internazionali. Ciò è possibile solo se si verificano sviluppi costruttivi a ognuno di questi livelli, e se è chiara la loro mutua interdipendenza creativa. Abbiamo bisogno di leader in campo sociale e politico che vogliano dedicarsi al rafforzamento dei legami tra i diversi livelli aiutandoli a lavorare insieme in modo fruttuoso: leader che smettano di insistere su rivalità assurde e su una ricerca antiquata di sovranità in un mondo in cui nessuna persona, regione o nazione può stare in piedi da sola senza una profonda cooperazione con gli altri. Amartya Sen ha posto l'accento sulla tensione che esiste intorno alla nozione di identità'. Quando gli individui hanno la possibilità di scegliere tra identità alternative e decidere quale priorità assegnare a ognuna di esse. la loro vita e la loro libertà sono arricchite e ampliate. Quando le identità e il loro contenuto sono imposti da nemici o avversari che cercano di stigmatizzarle, oppure da leader che utilizzano la questione identitaria per mobilitare il sostegno delle popolazioni, le identità diventano un'imposizione e una restrizione della libertà degli individui - nonché, cosa ancor peggiore, una causa frequente di conflitti violenti.


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