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Ernesto Laclau, "La ragione populista"

EDITORI LATERZA 

[Traduzione dall'inglese]


Ernesto Laclau, filosofo e teorico politico, è stato professore di Teoria politica all’Università dell’Essex. Ha insegnato a lungo in università degli Stati Uniti e del Sudamerica, in Sudafrica e in Australia. Ha elaborato (anche in collaborazione con Chantal Mouffe) un originale ripensamento delle fondamentali categorie della filosofia di ispirazione socialista, sostituendo la classica nozione di lotta di classe con le nozioni più attuali di antagonismo sociale e di democrazia radicale.

Il populismo, inteso come categoria di analisi politica, ci pone dinanzi a una lunga serie di problemi del tutto particolari. Se da un lato è una nozione ricorrente nell'uso comune, che prende parte alla descrizione di una ampia varietà di movimenti politici, dall'altro tende anche a metterne in luce qualcosa di centrale. A metà strada tra il descrittivo e il normativo, il «populismo» mira ad afferrare qualcosa di cruciale per la comprensione delle realtà politiche e ideologiche alle quali si riferisce. L'apparente vaghezza del concetto non ne incrina l'importanza nel qualificare una certa classe di fenomeni. Malgrado ciò, siamo ben lungi dal comprenderne con chiarezza il contenuto. Una caratteristica persistente della letteratura sul populismo è appunto la riluttanza, o la difficoltà, a dare un significato ben preciso al concetto. La nozione in sé non è chiara, non parliamo poi della sua definizione. Il più delle volte, l'apprensione concettuale è rimpiazzata dal ricorso a un'intuizione non verbale, o dall'enumerazione di una serie di «aspetti salienti» – una salienza minata, mentre la si afferma categoricamente, dalla proliferazione di eccezioni. Ecco un tipico esempio di strategia intellettuale quando si ha a che fare con il «populismo»:

  

Il populismo in sé tende a rifuggire ogni identificazione o assimilazione alla dicotomia destra/sinistra. È un movimento multiclassista, anche se non tutti i movimenti multiclassisti si possono considerare populistici. Del populismo probabilmente non si può dare alcuna definizione esaustiva. Lasciando da parte questo problema per un istante, va aggiunto che il populismo solitamente contiene ingredienti contrastanti, come la richiesta di pari diritti politici e di partecipazione universale della gente comune, mista però a una sorta di autoritarismo incarnato da una leadership carismatica e indiscussa. Contiene pure ingredienti socialisti (o almeno la richiesta di giustizia sociale), una vigorosa difesa delle piccole proprietà, forti ingredienti nazionalistici, e nega l'importanza delle classi. Esprime una rivendicazione dei diritti della gente comune contro gli interessi delle classi privilegiate, di solito considerate nemiche del popolo e della nazione. Questi elementi possono essere più o meno accentuati a seconda del contesto culturale e sociale, ma sono tutti presenti nella maggior parte dei movimenti populistici.

 

Il lettore non avrà problemi ad ampliare la lista di aspetti salienti stilata da Germani, o viceversa a individuare movimenti populistici da cui alcuni di essi sono assenti. In questo caso, l'unica cosa che ci rimane in mano è l'impossibilità di definire il termine – un risultato certo non soddisfacente nel campo dell'analisi sociale.

Mi piacerebbe, sin dall'inizio, avanzare un'ipotesi che possa orientare la nostra indagine teorica: l'impasse che la teoria politica sperimenta nel caso del populismo non è affatto accidentale, ma è dovuta alla limitatezza degli strumenti ontologici attualmente utilizzati nelle analisi politiche; il «populismo», luogo di intoppi e ostacoli teoretici, rispecchia quindi alcuni limiti inerenti alla teoria politica quando si tratta di capire come gli agenti sociali «totalizzino» l'insieme delle loro esperienze politiche


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