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Lo spazio di un lapsus. Errori fotografici ed epifanie del linguaggio

  • Immagine del redattore: Diego Ferrante
    Diego Ferrante
  • 9 apr 2024
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 19 mar


Ugo Mulas, Verifiche
© Ugo Mulas, Verifiche


Non si può cominciare un poema senza una particella di errore su di noi

e sul mondo, senza una pagliuzza d’innocenza alle prime parole.

[René Char, La bibliothèque est en feu]

 


L’invenzione della fotografia si è accompagnata sin dal principio a un’ampia produzione di manuali e libelli pensati per guidare i fotografi, più o meno esperti, alla ricerca dello scatto perfetto. Clément Chéroux ha eletto questa letteratura rudimentale a spunto per una riflessione più ampia sugli errori fotografici. Tutti i manuali, infatti, mostrano una continuità sorprendente negli errori da evitare, elencano gli stessi avvertimenti come una filastrocca indifferente al tempo trascorso e alle evoluzioni tecnologiche.

Scatti involontari; sovra o sottoesposizioni; flou; velature; aberrazioni; inquadrature maldestre. Mettendo da parte i criteri che ci spingono a considerare una foto più o meno riuscita, ogni errore può trasformarsi in un indizio per meglio comprendere il dispositivo fotografico e il suo rapporto con la realtà. Di questa opportunità era ben consapevole Moholy-Nagy, che anziché considerare l’errore un problema da risolvere, riteneva che le imperfezioni e gli accidenti del processo fotografico andassero esplorati e amplificati per rivelare le virtualità inattese presenti allo stato latente nel materiale fotografico e nelle sua lavorazione. L’apparecchio fotografico, per il pittore e fotografo ungherese, possiede la capacità di palesare fenomeni che sfuggono alla nostra percezione abituale, come distorsioni e deformazioni. La fotografia ci fornirebbe, quindi. un’immagine ottica pura, mentre l’occhio è solito integrare quest’ultima con la nostra esperienza intellettuale mediante legami associativi di tipo formale e spaziale. L'idea di un'immagine ottica pura ha suggerito la possibilità di eliminare tramite la fotografia quelle connotazioni simboliche ed espressive connesse, per esempio, alla pittura tradizionale. Questa consapevolezza delle potenzialità della fotografia ha attraversato le varie avanguardie del novecento, le quali hanno impiegato l'errore fotografico come uno strumento artistico, ognuna con i propri accenti e forme distintive. Tra questi, Man Ray è stato senz'altro tra i precursori, mentre successivamente figure come Bertrand Lavier, Sigmar Polke e Gerhard Richter hanno trovato nell’ampio catalogo degli errori fotografici una nuova estetica da investigare.  Tra i fotografi, Bernard Plossu ha incorporato gli errori tecnici nel proprio linguaggio espressivo, sfruttando macchine fotografiche economiche, condizioni di illuminazione scarse e scatti da veicoli in movimento per moltiplicare le possibilità di imprecisioni e sviste. L’errore ritorna a un’accezione che adesso ci appare meno immediata, quella dell’errare, dell’erranza, trasformandosi nella capacità «di cercare qualcosa e, avendone trovata un'altra differente, di saper riconoscere d'aver trovato qualcosa di più interessante di quel che s'era cercato all'inizio». Come sottolinea Chéroux nel suo saggio, errare significa mettersi in condizioni di commettere un errore ed essere disposti ad accogliere gli incidenti come delle vere e proprie epifanie fotografiche.



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